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Questo sito vuole ricordare l’attività di Italo Mataloni. Troverete una galleria di immagini di alcune tra le sue opere rimaste, e delle recensioni a lui dedicate.

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ITALO MATALONI
ITALO MATALONI

Marcello Venturoli

Presentazione "Galleria Astrolabio Arte - Via del Babuino 144, Roma" (1972)



Il salto qualitativo di Italo Mataloni, fino a ieri garbato pittore di paesaggi post-impressionista non è avvenuto traumaticamente per una tangente di “ismi” o per una pressione drammatica di eventi: l’humus nel quale operava, da quando a Matelica cominciò a dipingere sotto lo sguardo esperto del padre acquarellista, ha saputo nutrire il suo fervore immaginativo, ha dato un senso ai suoi paesaggi di figura.

 

Sembrerebbe quasi una contraddizione in termini per un artista d'oggi l'appartenenza tout court all'area impressionista ed essere insieme un patetico del rudere, anzi del frammento di bassorilievo e questo fare personaggio dì una vicenda di natura. Ma non per Mataloni, impressionista convinto, anzi incorreggibile, capace magari di dare al marmo la trepidazione di una carne, di far paesaggio di una folla di senatori, di far coesistere plein air e reperto di scavo, nell'architettura di notazioni sensibili, nel bell'impasto.

 

Piace e persuade di Italo Mataloni la misura fra due culture che non hanno certo operato all'unisono, quella dei Maestri francesi del secondo Ottocento e quella del nostro Novecento: è vero che nei Maestri novecentisti i valori “astratti” o “metafisici” scesero a patti con quelli della “natura” e che, l'ultimo Sironi per esempio, collocò in scomparti archeologia e natura; e un tipo di “impressionismo archeologico” fece anche Campigli con le sue donnine, metà arcaiche e metà parigine.

 

Ciò, vuol dire che i conti con l'impressionismo non si chiudono mai del tutto, nella nostra epoca, che quanto più lo si è voluto escludere in precedenza (si pensi ai furori della « scuola di Parigi » nei primi tre lustri del nostro secolo) tanto più ritorna a tentare e a bilanciare certe carenze, sacrifici, allergie e schemi.

 

Ma il caso del nostro pittore è assai meno drammatico: si può dire che all'interno della stessa sua disponibilità impressionista nasca l'amore per la storia antica, per il mondo greco-romano, così come i bassorilievi delle colonne o i frammenti delle are in Roma e in altre città italiane gli hanno dettato nelle sue “passeggiate”.

 

Egli, invece di camminare lungo la Senna, gironzola come un novello Gregorovius tra un frammento e l'altro del nostro remoto passato, ne inventaria le “presenze” attualizzandolo col plein air un margine, come si può arguire, di abbandono e di evocazione in cui non entra la nostalgia, non il complesso del postero; se mai, una sorta di ritorno alla vita e costume di “un tempo”, che è, insieme, una proposta di partecipazione degli antichi al costume di oggi, personaggi, gruppi familiari, folle, feste, battaglie, trionfi.

FRAMMENTO CON RITRATTO

Si veda per esempio come l'artista proceda nei suoi inventari di folle di pietra o di marmo, a cominciare da quei quadri dove il pretesto è lasciato quasi al suo ruolo di natura morta, di oggetto nel paesaggio. (Ma si vedrà che il ruolo si complica inevitabilmente, non c'è mai in questa mostra un pretesto archeologico senza una sua soluzione pittorica).

 

Mi riferisco ai quadri dal titolo “Frammento di una fuga” (i due eroi scavati nel marmo come dentro un'atmosfera ventosa, sono riscaldati nelle guance; e quei visi di tensione fanno già i conti con l'aria aperta, sono dentro un vento “fisico” niente affatto simulacri del tempo), “Scena a due piani” e “Dalla colonna traiana”, dove è evidente la ricognizione di comparse di marmo per una recita. L'invenzione sta nel concepire queste masse “utili” ad agire dentro un mondo di sensazioni, restituite ad una seconda vita dal pittore colla complicità impressionista.

 

Luci e cromie freschissime, masse tenute nella sintesi giusta, per cui non c'è punto che sbilanci, nella fitta assemblea. “Frammento” (che pare il riflesso tattile del pensiero pittorico di Mataloni, I’insegna del suo fare artistico: le sculture in piena luce; è la luce impressionista che le scopre, e il passaggio dall'archeologia alla vita avviene felicemente e senza drammi).

 

Ma questa animazione della scultura antica per essere “vista” in un'altra ribalta (fuori del museo e fuori della originaria destinazione) questa “seconda vita” di personaggi per virtù impressionista, assume varie cadenze e soluzioni nell'arte del nostro pittore. Vi sono momenti in cui l'artista muove la scena “antica” evidenziandone a tutta cromia un particolare, quasi che in quel punto del bassorilievo si stesse svolgendo una metamorfosi dalla pietra alla carne.

 

Si veda per esempio “Guerrieri con testa di cavallo”: il cavallo è il più colorito nella scena ed è al centro di essa come un grosso scacco; non esce dalla specie dei cavalli scolpiti, ma la cromia sembra indicarlo come il predestinato a fare da bastian contrario in questa storia di altri tempi; c’è insomma un principio di ribellione attraverso questo sanguificarsi del collo e del muso e già l’aria che circola intorno alle figure è più tenera, l’episodio antico fluisce come un paesaggio.



NUDINO CON TRIONFO

In “Romani contro barbari” il “disturbatore” è un cavaliere più schematizzato e più colorito degli altri, che pare liberarsi dall’impasto ceroso dell’insieme; d’altra parte la sanguificazione cromatica del rilievo non si limita al cavaliere in questo quadro fortunato: tagli e schemi di linee rette, dati dalle spade e dalle lance, spezzano all’interno della fluida composizione questa storia solenne, la fanno brulicare di una vita che è di oggi, una specie di “traffico” di stipatura; e piace di vedere nei fondi quasi a sostegno di queste masse recitanti, un verde nel paesaggio, una forza di natura.

 

Qui, come in diverse altre composizioni “dal marmo alla carne” di Mataloni,

i grigi e i verdini di Mataloni diventano rosati, un pallido corallo trascorre sulle figure.

 

Appunto, “La carne del marmo”, lo dice anche il titolo di uno dei suoi quadri più tipici della serie: dove senatori togati dell’Ara Pacis spartiscono il loro spazio con un personaggio, sulla cui pelle il sole risplende con tutti i gialli e rossi, perfino, della “scuola romana”.

 

È singolare il quadro perché si assiste in esso ad una più tesa differenza tra antico e attuale, anzi fra archeologia ed attimo fuggente: da una parte molte figure “scolpite” e ridipinte in quei grigi e verdini e biacche del Mataloni paesista di folle romane, dall'altra, stretto fra le figure di marmo, questo esplodente fratello-postero, dipinto “come un vivo”.

 

Perché? È l'unico “valido” del gruppo, oppure è una inammissibile eccezione, che sottolinea l'immutabilità del gruppo, di questo clan della immortalità? Mi pare che i due termini del discorso, perché il discorso funzioni, debbano essere operanti entrambi, e cioè: mentre esiste una scena che fu e oggi vive nell'incidenza di un'altra cultura, quella appunto dell' ”attimo fuggente”, esiste una figura che prende più di tutte spicco e coloritura dalla luce di oggi e sta nel gruppo: la carne del marmo si può chiamare anche la parola dei padri che serve ai nipoti, la tradizione che si adopera non come un vecchio utensile dell'epoca arcaica, ma come uno strumento valido anche oggi per conoscersi nella nostra pianta umana.

FRAMMENTO

 

Il medesimo discorso va fatto per i quadri dal titolo “Quattro personaggi” (un accenno di metamorfosi nell’atto di riconnettere il bassorilievo, tra marmo e cotto, effige e coloriti) “Personaggi dell’Appia Antica” quella finestra con quattro togati, più uno, coloratissimo alla sinistra estrema, il tutto nel veristico ammattonato della strada e “Frammento con ritratto”, azzeccato anche nel titolo, per la messa in luce dei due termini del discorso, l'oggetto trovato nella passeggiata turistica e l'oggetto che trova la luce impressionista e si riscalda e si colora proprio come un ritratto. Infatti la policromia del secondo viso a sinistra sta benissimo in quel punto, perché maturata da quel magma di cose-figure-personaggi, da quella emulsione ricca, stratificata di grigi perla da una parte e di carnicini dall'altra, i due termini del discorso, dicevo, del marmo e della carne; con quel verde di natura che ora presiede, ora circola sotto; è un ritratto che, data la collocazione, in parte ammicca arrogante, in parte si nasconde, consapevole della sua “diversità”.

TERMOPILI

Ma la dialettica fra antico e attuale, fra sogno classico e mondo impressionista non è tutta qui, per Mataloni: vi sono testimoni dell'oggi, bastian contrari, intrusi, o come si voglia chiamarli, dentro le sue composizioni ruderali che si presentano con un piglio più estroso, la solennità dell'assemblea di pietra (ma s'è visto che pietra non resta mai!) è rotta da una più evidente diavoleria.

 

Si veda per esempio “Nudino con trionfo”. Siamo anche qui nella quasi monocromia della scena fra grigi perla e bianchi d'argento come discende dall’arco di Costantino; ma l'elemento che fa scandalo è una specie d'arlecchino cubista; ecco, se le altre figure han subìto l'artificio dello scalpello, questa ha subìto l'artificio dei manichini; insomma qui non c'è un inserimento dentro il mondo antico di una figura vivente, o l'attualizzazione di una figura antica per il sorriso della luce; qui le due vite, archeologia e pittura, si bilanciano, direi, che "'sia una storia di presenze, rappresentate attraverso due momenti diversi dell'arte.

 

Colto, ma non saccente, ligio al suo sensibilismo di notazioni, ma non sensibilista ad oltranza, Mataloni dipinge ciò che vede, ma, neanche a farlo apposta, ciò che sembra abbia veduto non c'è, almeno nella misura di quel prima e di quel poi, perché questa misura è la sua fantasia.

 

Interessante al nostro discorso è anche “Arlecchino alle Terme”. Qui, rispetto al quadro precedente, c’è di nuovo che la proporzione tra personaggi della storia e personaggi della vita è diversa; l’arlecchino sembra far parte di un insieme in una prospettiva che lo fa vivere in apparenza in un ruolo secondario. Eppure sta bene anche lì, perché il grandeggiare degli eroi di marmo diventa parete, cosa, e la presenza di lui colorata è invece una tenera spia di esistenza.



QUADRIGA

E come non citare “Robot sul triclinio”, “Nudino con sconfitta”, “Medea e il passero”? Nel primo dei tre lavori, tra i più originali della mostra, sembra che il robot si sia inserito, seduto a braccia conserte, perché il fruitore lo veda e si indispettisca perché ha occupato il posto dell'antico commensale, con la sua testa quadra color mattone, il suo corpo di schegge colorate. Ma se ne accorgerà davvero il fruitore, oppure il robot si sarà cosi bene nascosto, nella immobilità della sua recita da antico, da essere anche lui un'ombra del passato?

 

Questo è il fascino delle assemblee di marmo di Mataloni visitate da strane creature, con un sorriso di intesa alla natura, quasi simboli del mondo esterno, dell'oggi che incombe. Ah quel “Semaforo della battaglia”, come ci porta in medias res, dentro l'arte intelligente e equilibrata del pittore marchigiano! Più che di un semaforo si tratta di uno schema astratto geometrico, collocato da una parte del quadro quasi per non disturbare; eppure l'occhio del fruitore, accarezzato dal fluire delle larghe pennellate sui cavalli e sui soldati, sugli elmi e sugli scudi, va a finire lì e si ferma a interrogare quelle forme diverse, dell’avanguardia storica, quelle campiture astratte che nacquero dalla lezione impressionista, per esempio Villon, Magnelli.

 

In “Medea e il passero” l'uccello sta sopra, mezzo di pietra e mezzo verdone, in basso in primo piano, da testimone e da invitato, da intruso e da protagonista. Recitino pure per secoli la loro tragedia di marmo, queste figure non saranno mai solo di marmo per questa presenza e questa presenza non sarà mai soltanto ornitologica!

LA CARNE DEL MARMO

In questa fase l’artista opera anche per punte contrapposte, come per esempio in “Bassorilievo onirico”, ma io preferisco opere di meno esplicita e non cercata significazione, quelle apparizioni in’assemblea ruderale di personaggi vivi, e anche talune opere in cui rudere antropomorfico si sposa alla natura con punte di quasi magico paesaggio: Mi riferisco a “Nudo sul sarcofago” (dove una fanciulla villereccia nel gusto bartoliniano mette sconquasso nel gruppo delle sue cariatidi), “Quadriga” (qui è l’auriga a tentare di essere diverso, ma anziché sobbarcarsi la parte dell’intruso provocatore, va per la tangente del paesaggio, diventa anche lui natura; e più che una figura sembra una massa vegetale legata alla pietra), “Morte degli eroi”, “Termopili”, “Il muro della resistenza”, opere queste tre di civile e poetica forza. Nella prima i personaggi stanno nelle loro tombe come in un sonno di soldati prima della battaglia, i loro corpi sono franti dal tempo eppure aspettano.

ARLECCHINO ALLE TERME

Non c’è molta elaborazione; per i risultati di pittura forse sono preferibili le opere di taglio piccolo, ma è indubitata la forza e la convinzione dell’idea. Anche “Termopili”, dicevo, è un buon quadro: questo crollo di eroi, questo trofeo azzurro di lastre e di basamenti, di scudi e di dignitari, di arcigni generali, tutti parenti di Farinata, come un promontorio di cadute speranze sul mare.

 

Un artista Mataloni che ha trovato in questi ultimi due anni una strada ben diversa da quella scontata della sua pur egregia professionalità e che ho seguito passo passo nei suoi sviluppi.



Marcello Venturoli

DALLA COLONNA TRAIANA